Attualità: No dell'Antitrust a vincoli orari e chiusure obbligatorie per bar e negozi Stampa
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Netto no dell'Antitrust al Governo sul disegno di legge in corso di discussione alle Camere per ripristinare il potere dei sindaci di fissare limiti orari e turni obbligatori di chiusura per pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande (cioè bar, ristoranti e pizzerie) e attività commerciali. A dirlo è il Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella, che nel corso dell'audizione del 1° luglio alla decima Commissione del Senato ha ribadito la posizione contraria dell'organismo sui disegni di legge 1629 e 762 che puntano a rimettere in mano ai Sindaci la possibilità - pur sancita a livello di principio generale dal comma 7 dell'articolo 50 del Dlgs 267/00 (Tuel) ma fortemente ridimensionata dal Decreto Monti (Dl 201/2011 - articolo 31, comma 2) di stabilire chiusure obbligatorie.

L'evoluzione normativa

La vicenda nasce proprio dall'articolo 31 del Dl 201/2011 (Salva Italia) convertito dalla legge 214/2011, che sulla falsariga dell'omologa disciplina normativa diffusa in molti Paesi dell'Ue, modificò l'articolo 3, comma 1, lettera d-bis del del Dl 223/2006 convertito dalla legge 248/2006 (Decreto Bersani) stabilendo - di fatto - che le attività commerciali e di somministrazione di alimenti bevande possano essere svolte senza particolari limiti, fra cui il rispetto degli orari di apertura e chiusura domenicale e festiva nonchè quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale.

Il Decreto Monti, cancellando una normativa ultra quarantennale, per la prima volta affermò in Italia, sulla scia del vento liberalizzatore delle attività economiche di conio comunitario, il principio per cui ogni decisione in materia non può che essere rimessa alla libera scelta degli operatori economici e dunque al mercato e non a un ingiustificato potere regolatore dei Comuni che cozza con il principio di proporzionalità degli atti amministrativi, anche esso ispirato dall'Ue.

Non solo, in quanto il comma 2 dello stesso articolo 31 del Dl 201/2011 ha stabilito a chiare lettere che «Secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».

A seguito della novella legislativa si sono sprecati i pronunciamenti della Corte costituzionale e della giurisprudenza amministrativa che hanno censurato leggi regionali e provvedimenti comunali elusivi dei nuovi principi, ribadendo l'assoluta libertà degli esercenti in materia. Se non chè si sono registrate non poche proteste sia di alcuni Comuni che delle associazioni di categoria contro quella che è stata definita una liberalizzazione "selvaggia", per limitare la quale il Governo ha proposto un intervento correttivo in discussione al Parlamento.

Le novità del disegno di legge 

Il disegno di legge, reintroducendo una serie di limitazioni e vincoli alla libera determinazione degli orari di apertura e chiusura delle attività in questione, prevede - solo per le attività commerciali (e non anche per bar e ristoranti) - dodici giorni all'anno di chiusura obbligatoria coincidenti con le feste civili e religiose. Nell'ambito di queste dodici l'esercente può però derogare, rimanendo perciò aperto, fino ad una massimo di sei giorni di chiusura obbligatoria dandone comunicazione preventiva al Comune.

Il Ddl prevede la possibilità per i Comuni di predisporre «accordi territoriali non vincolanti» - anche con incentivi fiscali per gli operatori che aderiscono - per la definizione degli orari e delle chiusure delle attività commerciali «al fine di assicurare elevati livelli di fruibilità dei servizi commerciali da parte dei consumatori e degli utenti, di promuovere un'offerta complessiva in grado di aumentare l'attrattività del territorio e di valorizzare specifiche zone aventi più marcata vocazione commerciale, anche attraverso l'integrazione degli orari degli esercizi relativi a funzioni e servizi affini e complementari, fornendo agli operatori indicazioni su possibili interventi atti a migliorare l'accesso e la fruibilità dei servizi da parte dei consumatori e degli utenti».

Il provvedimento relativo questa volta non solo a negozi ma anche a bar, pizzerie e ristoranti, attività artigianali di gastronomia come rosticcerie, gelaterie e pizzerie d'asporto, contempla la possibilità per il Comune di fissare gli orari apertura, aggiungendo all'articolo 50, comma 7, del Tuel il seguente periodo: «Il Sindaco, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, definisce inoltre, per un periodo non superiore a tre mesi, gli orari di apertura dei pubblici esercizi e delle attività commerciali e artigianali in determinate zone del territorio comunale interessate da fenomeni di aggregazione notturna, qualora esigenze di sostenibilità ambientale o sociale, di tutela dei beni culturali, di viabilità o di tutela del diritto dei residenti alla sicurezza o al riposo, alle quali non possa altrimenti provvedersi, rendano necessario limitare l'afflusso di pubblico in tali zone e orari.».

La posizione dell'Autorità

Su tutto questo l'Agcom oppone un netto rifiuto, evidenziando che si tratta di misure che introducono pesanti ostacoli alla piena affermazione del principio della tutela della concorrenza ex articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione e che vanno nella direzione opposta a quella sinora seguita dal legislatore comunitario e nazionale a favore del libero dispiegarsi delle dinamiche competitive del mercato e delle imprese.

Del resto, dice Pitruzzella, si tratta di interventi suscettibili di peggiorare, anzichè di migliorare, «le condizioni di offerta e la libertà di scelta per i consumatori senza avere peraltro una valida giustificazione in termini di efficienza dal punto di vista degli operatori nè in relazione a particolari interessi pubblici meritevoli di tutela».

Fonte: ilsole24ore.com

 
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