N. 16 del 14 Otttobre 2009 PDF Stampa E-mail

RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: APPROVATO IL RELATIVO PROVVEDIMENTO NORMATIVO

La settimana scorsa il Governo ha dato il via libero all’approvazione del nuovo provvedimento normativo, che nelle sue intenzioni e soprattutto del Ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, dovrà innovare la PA italiana e portare alla sconfitta dei fannulloni e delle inefficienze organizzative e nell’erogazione dei servizi ai cittadini.
Numerose le novità, previste nel provvedimento, tra cui l’istituzione di una Commissione nazionale per la valutazione degli uffici pubblici (che si prevede molto costosa) e soprattutto la redazione di pagellini con liste dei dipendenti da classificare sostanzialmente come buoni, meno buoni e insufficienti.
La riforma normativa si attua immediatamente ai Ministeri e agli enti Parastatali, per gli altri settori tra cui gli Enti Locali il recepimento sarà diverso e non così automatico.
Pochi i commenti pubblici al via libera di questa riforma, che si presenta nelle intenzioni epocale, che da oggi è attesa alla prova dei fatti della sua applicazione e della verifica dei risultati attesi, che per essere appunto epocali dovranno arrivare entro i prossimi due anni, pena la retrocessione ad ennesima “grida” di sapore manzoniano.
Su questo importante e delicato tema la nostra Associazione tornerà con appositi approfondimenti per i soci.


COMUNE DI ROMA: IL 15 OTTOBRE AL VIA LA RIORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI COMUNALI

Salvo rinvii il 15 ottobre prenderà il via l’attesa riforma amministrativa del Comune di Roma, dopo oltre un anno di lavoro di un’apposita Commissione, di serrate concertazioni con le OO.SS e di ben tre delibere (l’ultima di aggiustamento prima del via è la del. Di G.C. n. 296 del 30.9.09 – presto sul sito), nonché di un protocollo di intesa dello scorso mese di agosto 2009.
La “riforma” prevede in sostanza la creazione di direzioni di Area per semplificare e rendere più efficiente l’Amministrazione, la riorganizzazione di funzioni ed uffici secondo criteri ritenuti di maggiore razionalità e una forte revisione dei ruoli e delle funzioni della dirigenza.
L’attuazione della nuova macro-struttura organizzativa comporterà una significativa rotazione degli incarichi dirigenziali, nonché lo spostamento di numerosi dipendenti.
Tenuto anche conto dei numerosi spostamenti di uffici anche di tipo logistico, dovuti a movimentazioni di sedi, i prossimi mesi saranno intensi di attività.
Tutta la “storia” della riorganizzazione sul sito di Quadrinet Pa oltre ad altre informazioni sull’argomento.


COMUNE DI ROMA: DI NUOVO IN DIFFICOLTA’ FINANZIARIE?

Dai maggiori quotidiani nazionali si apprende che sono a rischio ben 1.170 milioni di euro per le casse del Comune di Roma. Sembrerebbe infatti che i 500 milioni di euro promessi dal governo per l’anno 2009 non siano ancora stati trasferiti, così come sembrerebbero a forte rischio i 500 milioni del 2010 insieme ai 170 milioni per Roma Capitale sempre del 2010.
La scorsa settimana la Ragioneria Generale del Comune con un’improvvisa circolare interna ha disposto con decorrenza immediata e senza alcun preavviso l’interruzione della trasmissione di tutti i provvedimenti amministrativi che comportano spese, nonché una ricognizione di tutte le attività che risultano essere indispensabili , pena il taglio di ogni risorsa finanziaria stanziata nel 2009 ma non ancora impegnata.


RIAPRE IL DIBATTITTO SULL’ALLUNGAMENTO DELL’ETA’ PENSIONABILE

Con una dichiarazione destinata a riaprire polemiche il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha improvvisamente riaperto la questione del deficit strutturale del sistema pensionistico, chiedendo al mondo politico di procedere il prima possibile all’allungamento dell’età prevista per il pensionamento.
A tale richiesta ha risposto a stretto giro di posta il Ministro Sacconi affermando l’intenzione del Governo di mantenere l’attuale sistema invariato.
L’uscita del Governatore è comunque indice del travagliato dibattito politico in corso circa il tema di un nuovo allungamento dell’età pensionabile, che probabilmente in tempi più tranquilli politicamente verrà sicuramente ripreso ed affrontato.


SPOSTAMENTO SEDE LEGALE DI QUADRINET PA

Si comunica a tutti i soci che Quadrinet PA ha per esigenze organizzative provveduto a spostare la propria sede legale al seguente indirizzo:

VIALE FURIO CAMILLO, 54 00181 ROMA c/o Studio Valentini. I nuovi numeri provvisori dell’ Associazione sono i seguenti: 3394550493 - 366 1091795.
Rimangono invariati l’indirizzo mail e del sito internet.


PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: IN PENSIONE CON 40 ANNI DI CONTRIBUTI 

Quaranta anni di contributi, anche figurativi, bastano per la risoluzione unilaterale, da parte delle amministrazioni pubbliche, del rapporto di lavoro del personale dipendente, dirigenziale e non. 
Nei prossimi tre anni, infatti, le PA potranno esercitare la facoltà di recesso prevista dal vigente co. 11 dell'art. 72 del Dl n. 112/2008, nei confronti di quei dipendenti che abbiano maturato quaranta anni di contributi, a prescindere dal numero di anni di servizio effettivamente svolti. 
Restano fuori dal campo di applicazione del requisito dell'"anzianità contributiva", oltre ai magistrati e ai professori universitari, anche i dirigenti medici responsabili di struttura complessa, che non erano menzionati dal previgente testo normativo. 
Questo, in sintesi, è quanto ha precisato il dipartimento della Funzione pubblica, con la circolare n. 4 del 16 settembre scorso (in attesa di registrazione da parte della Corte dei conti), con la quale il ministro Brunetta ha dettato le istruzioni operative resesi necessarie in materia a seguito della conversione in legge del Dl n. 78/2009. 
L'art. 17, co. 35-novies, della legge n. 102/2009, di conversione del decreto "anticrisi", ha modificato il testo dell'art. 72, co. 11, del Dl n. 112 citato, ancorando l'esercizio della facoltà di risoluzione anticipata del rapporto ai quaranta anni di anzianità contributiva e non a quello dell'anzianità di servizio effettivo. 
La misura, limitata ad un triennio "sperimentale": anni 2009, 2010 e 2011, è finalizzata alla riduzione del personale in servizio e rientra nell'ambito di interventi di razionalizzazione dell'organizzazione. 
Per poter esercitare la facoltà di risoluzione unilaterale del rapporto, che decorre "dal compimento dell'anzianità massima contributiva di quaranta anni del personale dipendente" è necessario un preavviso di sei mesi. È prevista inoltre una salvaguardia per i procedimenti già avviati. Da segnalare, infine, che l'amministrazione esercita la facoltà di risoluzione unilaterale nell'ambito del potere datoriale.
Leggi il testo della circolare sul sito di Quadrinet pa 
Fonte: Il Sole 24 Ore. 


VIOLATO IL SITO DELLE POSTE ITALIANE: SONO PROPRIO AL SICURO I DATI SU INTERNET?

L'home page del sito di poste italiane ha subito un defacement ma i dati degli utenti sono al sicuro, le conseguenze dell'attacco portato sabato scorso al sito delle Poste Italiane sono ormai state completamente cancellate; in ogni caso, i danni sembrerebbero essere stati solo superficiali. 
Il comunicato delle Poste Italiane inserito nella propria home page per informare gli utenti su quanto successo pochi giorni fa, assicura che nonostante la pagina sia stata vittima di un defacement i dati personali non hanno corso rischi. 
Di altro parere sono invece i due hacker che sono riusciti a manomettere il sito sabato 10 ottobre, dove al posto della consueta home page del sito campeggiava la scritta Hacked accompagnata da una nota in cui Mr Hipo e StutM, che avvisavano di aver portato a termine un'azione dimostrativa per rivelare al mondo la scarsa protezione offerta dalla Poste ai dati dei propri clienti. 
"Per vostra fortuna noi siamo persone non malintenzionate" si leggeva "perché i vostri dati e i vostri account non sono stati toccati. Ma cosa succederebbe se un giorno arrivasse qualcuno con intenzioni ben peggiori delle nostre?". 
Le possibilità sono quindi due: o Mr Hipo e StutM hanno millantato falle inesistenti, a parte quella che ha permesso loro di modificare l'home page, oppure le Poste stanno cercando di minimizzare il rischio corso. 
Visto anche il crescente fenomeno di pishing che avviane su internet e che ha come bersaglio proprio i dati relativi ai conti Bancoposta.
Sempre secondo Poste Italiane il sistema di controlli è "potente", tuttavia non si è accorto della possibilità di defacement, un pericolo peraltro ridimensionato da Gerardo Costabile, responsabile della Sicurezza Logica delle Poste Italiane, che ha parlato di un "fenomeno abbastanza fisiologico su Internet. Negli anni si contano azioni simili contro siti di varie levature, anche istituzionali".
Come dire "mal comune, mezzo gaudio".


PUBBLICO IMPIEGO: NO AL DOPPIO INCARICO PER L’AVVOCATO DI ENTE PUBBLICO

Corte di cassazione, sez. unite, sentenza 19 agosto 2009 n. 18359
Enti pubblici - Avvocature interne - Doppio incarico del legale interno - Cumulo, con l'attività forense svolta esclusivamente per l'ente di appartenenza, di funzioni che comportino il coinvolgimento nell'attività amministrativa dell'ente - Inammissibilità 
La responsabilità del settore "Affari legali" formalmente istituito ed autonomo rispetto alle altre macrostrutture in cui il Comune è articolato e la qualifica dirigenziale posseduta dal legale sono insufficienti a dimostrare che il medesimo è abilitato a svolgere, nell'interesse di questo, in via esclusiva, attività professionale, laddove al medesimo legale siano affidate funzioni di coordinamento di altre e ben distinte aree organizzative, cui sono preposti specifici responsabili, titolari di funzioni direzionali e del relativo potere di firma, affidate con atti di macro-organizzazione dagli organi di governo dell'ente stesso nell'ambito dell'autonomia costituzionalmente garantita dell'ordinamento giuridico locale. 
La questione di fondo 
Con la decisione n. 18359 del 19 agosto scorso, le sezioni unite civili della Cassazione sono tornate a pronunciarsi sulle condizioni che devono sussistere e permanere affinché un dipendente pubblico possa risultare iscritto all'elenco speciale annesso all'albo degli avvocati. 
A riguardo, è noto che l'orientamento consolidatosi nel tempo è nel senso che l'iscrizione nell'elenco speciale (annesso all'albo) di cui all'art. 3, ultimo co., lett. b), del Rdl 27 novembre 1933 n. 1578, essendo prevista per gli avvocati degli uffici legali degli enti indicati nel precedente co. 2, richiede il concorso di due presupposti: a) deve esistere, nell'ambito dell'ente pubblico, un ufficio legale che costituisca un'unità organica autonoma; b) colui che chiede l'iscrizione - dipendente dell'ente ed in possesso del titolo di avvocato - faccia parte dell'ufficio legale e sia incaricato di svolgervi tale attività professionale, limitatamente alle cause ed agli affari propri dell'ente.
La destinazione del dipendente-avvocato a svolgere l'attività professionale presso l'ufficio legale deve realizzarsi mediante il suo inquadramento in detto ufficio, che non avvenga a titolo precario e non sia del tutto privo di stabilità: non è configurabile siffatto inquadramento quando la destinazione all'ufficio legale dell'ente sia liberamente revocabile dall'autorità amministrativa che la ha disposta, essendo invece necessario, ai fini della iscrizione, che la cessazione di tale destinazione sia consentita solo sulla base di circostanze e/o di criteri prestabiliti (in tal senso, tra le tante, si vedano Cassazione, sentenze 18 aprile 2002 n. 5559 e 14 marzo 2002 n. 3733). 
Il fatto 
Ciò premesso, la vicenda decisa con la sentenza in commento proponeva peraltro un tema di approfondimento puntuale, giacché un Consiglio dell'Ordine degli avvocati, in esito al procedimento di verifica della permanenza delle condizioni per l'iscrizione nell'elenco speciale degli avvocati addetti ad uffici legali di enti pubblici di una determinata persona, esaminata la ratio dell'art. 3, co. 4, lett. f), della legge professionale, rilevati i principi di libertà, autonomia e indipendenza per ogni forma di attività professionale forense, richiamati i principi giurisprudenziali della non precarietà dell'appartenenza all'Ufficio legale, della estraneità all'apparato amministrativo dell'ente pubblico, rilevata l'assegnazione dell'interessato a compiti "dirigenziali per quanto riguardava settori del Personale, del Demanio Marittimo e del Commercio oltretutto di rilevante peso ed importanza rispetto alle funzioni e compiti dell'Ente nei loro complesso considerati" ed osservato che il coinvolgimento in tali unità organizzative, oltre a far venir meno il carattere dell'esclusività, determinava anche una situazione (ancorché potenziale) di conflitto d'interessi, ravvisava conclusivamente una condizione di incompatibilità tale da non consentire la permanenza del legale nell'elenco speciale. 
La decisione sfavorevole veniva impugnata dall'interessato dinanzi al Consiglio nazionale forense, che però rigettava il ricorso ritenendo in particolare confliggente con i principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di requisiti necessari per l'iscrizione nell'elenco speciale il simultaneo svolgimento da parte dell'interessato, anche se in parte temporaneo, di attività legale e di attività certamente amministrativa.
In sostanza, l'ulteriore affidamento all'attuale ricorrente di diversi incarichi amministrativi (non irrilevanti, trattandosi della dirigenza di due importanti settori organizzativi, quali il personale e il demanio marittimo con il commercio), incideva ad avviso del Cnf in maniera decisiva poiché tutte le forme anche provvisorie ed ulteriori di cumulo di incarichi e funzioni estranee a quella tipicamente legale risultavano necessariamente preclusive dell'iscrizione nell'elenco speciale per difetto d'esclusività anche sotto la specie dell'addizione. 
La decisione delle sezioni unite 
Nel confermare la decisione del Consiglio nazionale forense, con la sentenza in esame le sezioni unite hanno alfine stabilito che la responsabilità del settore "Affari legali" formalmente istituito ed autonomo rispetto alle altre macrostrutture in cui l'amministrazione è articolata e la qualifica dirigenziale posseduta dal legale sono insufficienti a consentire il permanere dell'iscrizione nell'elenco speciale, laddove all'interessato siano contemporaneamente affidate funzioni di coordinamento di altre e ben distinte aree organizzative, cui sono preposti specifici responsabili, titolari di funzioni direzionali e del relativo potere di firma, affidate con atti di macro-organizzazione dagli organi di governo dell'ente stesso nell'ambito dell'autonomia costituzionalmente garantita dell'ordinamento giuridico locale. 
La decisione dei giudici di Piazza Cavour è motivata facendo riferimento alla costante interpretazione dell'art. 3 della legge professionale forense, la quale ha sempre evidenziato la natura eccezionale della deroga, prevista per gli addetti agli Uffici legali di enti pubblici, alla regola generale della professione forense consistente nell'incompatibilità con il lavoro subordinato e la conseguente necessità di una interpretazione restrittiva della norma, non suscettibile d'interpretazione analogica, individuandone il senso e la ratio nel particolare status derivante dal rapporto d'impiego pubblico che è tale da preservare presumibilmente l'avvocato-dipendente dal rischio di condizionamento nell'esercizio della sua professione. Centrale risulta, dunque, lo svolgimento da parte degli addetti, con libertà ed autonomia, delle funzioni di competenza, con sostanziale estraneità all'apparato amministrativo, in posizione d'indipendenza e con esclusione da ogni attività di gestione. 
Di qui, la conclusione che il simultaneo svolgimento, ancorché temporaneo, di attività legale e di attività certamente amministrativa è incompatibile con l'esclusività – "da intendersi in senso oggettivo ed esterno", come specifica la Suprema corte - che, assicurando l'autonomia della funzione, ne garantisce l'indipendenza, preservandola da condizionamenti, "requisito questo essenziale per la tutela della funzione sociale dell'avvocato anche nel caso del suo servizio a favore dei soli interessi pubblici dell'ente di appartenenza".
Osservazioni finali 
No, dunque, al doppio incarico per l'avvocato dell'ente pubblico. Il che, se ha il merito di prevenire situazioni di anche solo potenziale conflitto di interessi, rende a nostro avviso ancor più urgente una rimeditazione del tema dell'ordinamento dell'Avvocatura interna degli enti pubblici, tenuto conto dell'impatto che la decisione in commento può avere non tanto sull'organizzazione delle singole amministrazioni quanto sulla loro possibilità di assicurare in concreto continuità alla rispettiva azione amministrativa. 
No al doppio incarico significa infatti che, dopo questa decisione, il legale interno che ne aveva due potrà averne uno soltanto. L'altro, dunque, si renderà vacante, con quel che intuitivamente comporta. E non è detto che il legale preferirà in tutti i casi restare applicato all'ufficio legale (nel caso deciso con la pronuncia in questione, si noti, all'interessato erano state affidate "funzioni di coordinamento di altre e ben distinte Aree Organizzative, cui sono preposti specifici responsabili, titolari di funzioni direzionali e del relativo potere di firma": funzioni, dunque, di livello elevato, la cui remunerazione potrebbe risultare in concreto preferita), nel qual caso la vacanza che ne seguirà nell'organico dei legali interni con tutta probabilità non lascerà alle amministrazioni altra possibilità che bandire procedure di reclutamento ad hoc. 
D'altra parte, ove (già) reclutato con un concorso ad hoc, andrà valutato approfonditamente se al legale interno risulti oggi consentito di optare liberamente per un incarico che ne comporti (in esclusiva) "il coinvolgimento […] nell'attività amministrativa dell'Ente". 
Fonte: Il Sole 24 Ore. 


PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: PROPORZIONALITA’ E GRADUALITA’ DELLA SANZIONE LIMITI INVALICABILI DEL POTERE DISCIPLINARE DELLA PA 


Pubblico impiego - Reato commesso da militare in servizio - Sentenza penale non passata in giudicato - Irrilevanza ai fini disciplinari - Valutazione disciplinare del fatto - È autonoma - Rilevanza del disvalore morale della condotta per il decoro del Corpo - Sussiste - Sanzione disciplinare - Sindacabilità in sede giurisdizionale - Limiti 
In materia disciplinare la PA ha il dovere di valutare la gravità dei fatti ascritti al dipendente anche qualora siano stati accertati in sede penale con sentenza non passata in giudicato, essendo i due procedimenti autonomi. Né è vincolata alla qualificazione del fatto da parte del giudice penale, potendo attribuire particolare disvalore e lesività alla condotta del funzionario, anche tenuto conto della sua qualifica. Nondimeno la sanzione disciplinare comminata deve rispondere ai principi di proporzionalità e gradualità che costituiranno, al contempo, i parametri e il limite di sindacabilità del legittimo uso del potere da parte del giudice, cui è precluso ogni apprezzamento in ordine al merito della valutazione compiuta dall'amministrazione. 
Il fatto 
Il caso scrutinato dal Tribunale amministrativo piemontese riguarda la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione inflitta ad un vice brigadiere della Guardia di Finanza, per aver utilizzato il telefono di servizio allo scopo di effettuare chiamate a pagamento, a sfondo erotico, e la cui illegittimità era stata censurata dal militare sotto il profilo dell'eccesso di potere, sub specie di violazione del principio di gradualità e di ingiustizia manifesta, atteso che per lo stesso fatto egli era sì stato effettivamente condannato dalla Corte d'appello militare, ma con derubricazione dell'originaria imputazione da peculato ad appropriazione indebita, con sentenza peraltro non ancora passata in giudicato. 
La pronuncia del foro torinese 
Il Tribunale amministrativo, malgrado avesse in sede cautelare accolto le doglianze del militare tanto da concedergli l'invocata sospensiva, con la decisione in epigrafe ne ha poi rigettato il ricorso nel merito, rivedendo il suo orientamento anche in ossequio ai diversi principi espressi sul caso dal Consiglio di Stato, che, adito in sede d'appello dal ministero, ne aveva annullato l'ordinanza cautelare, confermando prima facie la legittimità del provvedimento sanzionatorio gravato. 
In particolare, il Collegio torinese ha optato per la conformità a legge della sanzione impugnata, ritenendo che rispondesse al principio di proporzionalità, declinato nella sedes materiae in quello del gradualismo sanzionatorio, secondo un'indagine ab externo e da condursi sulla scorta della motivazione del provvedimento, essendo questa l'unica consentita al giudice amministrativo, al quale è fatto divieto di sostituirsi alla pubblica amministrazione sindacandone le scelte discrezionali, altrimenti violandosi il principio di legalità e di separazione dei poteri. 
Criterio guida, quello della proporzionalità della sanzione che, nel caso specifico, secondo il tribunale, è stato osservato dall'amministrazione avuto riguardo al comportamento tenuto dal militare in violazione, per un verso, del giuramento di fedele osservanza delle leggi dello Stato, tra le quali è annoverato in primo luogo il codice penale, cui è riconducibile l'indebito uso per scopi personali del telefono di servizio e, per altro verso, del decoro e del prestigio del Corpo militare di appartenenza, stante la natura delle comunicazioni effettuate. 
Né, secondo i giudici, costituisce fondato motivo di ricorso la pendenza per i medesimi fatti ascrittigli in sede disciplinare di un processo penale, non ancora concluso con sentenza passata in giudicato, stante il principio di separazione cui i due procedimenti sono improntati, secondo consolidata giurisprudenza. 
Di tal ché la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di accertare ed apprezzare autonomamente la rilevanza disciplinare della condotta tenuta da un suo funzionario, valutandone il disvalore alla stregua delle leggi e dei codici di comportamento applicabili a secondo della categoria di appartenenza, potendo, per questa via, pervenire anche a conclusioni diverse da quelle del giudice penale. 
Le questioni rilevanti 
Mentre nel diritto del lavoro privato e privatizzato, ai sensi dell'art. 2, co. 2, del Dlgs n. 165/2001, il procedimento disciplinare attiene alle infrazioni commesse dal lavoratore nell'ambito di ben determinati codici di comportamento, nel diritto del lavoro pubblico, soprattutto se speciale, quale quello dei Corpi militari, presenta contorni ben più ampi e indefiniti, venendo in rilievo ogni qual volta il funzionario violi non solo i precetti di legge, di regolamento o di direttive e di ordini che disciplinano il rapporto di servizio, bensì pure quando infranga le più penetranti regole deontologiche di gruppo, che, nel caso delle Forze armate, si spingono fino a costituire "regole di vita, che trascendono lo stesso status di militare e dovrebbero caratterizzare gli stessi rapporti politici, civili e sociali" . 
L'ordinamento disciplinare dei Corpi militari, infatti, esaltando l'orgoglio di appartenenza non solo alle Forze armate, ma all'intera Nazione, tende a valorizzarne lo spirito, dando pregnante rilevanza a quei profili morali ed etici della condotta tenuta dal militare, nella vita pubblica, come in quella privata , ormai recessivi negli altri settori di impiego, anche se alle dipendenze delle PA. 
Circostanza dimostrata anche dall'abolizione nei bandi di concorso dei requisiti della specchiata condotta e dell'idoneità morale previsti dall'art. 2 del Dpr 10 gennaio 1957, n. 3, poi abrogati dalla legge 29 ottobre 1984, n. 732, e indi ripristinati dall'art. 35, co. 6, del Dlgs n. 165/2001, benché solo per talune categorie di pubblici dipendenti, tra cui i militari per i quali si richiedono le citate qualità ex art. 26 della legge 1° febbraio 1989, n. 53. 
Precetti comportamentali, questi, di rilievo disciplinare e che, per quanto riguarda la Guardia di Finanza, si ricavano dalla legge 3 agosto 1961, n. 833, Titolo II, Capo VI, in combinato disposto col Dpr 18 luglio 1986, n. 545, recante al Titolo III i doveri dei militari. 
Nondimeno, proprio l'evanescenza dei precetti in questione, unitamente all'ampia discrezionalità riconosciuta al Corpo nell'apprezzamento del disvalore del comportamento e della sanzione da applicare, hanno indotto la giurisprudenza amministrativa ad elaborare un reticolato di principi atti ad irreggimentarne il potere, trovando nel tempo il difficile punto di equilibrio tra l'esigenza di salvaguardare le prerogative dello Stato nella conservazione della credibilità del suo principale apparato, anche attraverso le sanzioni disciplinari, e l'esigenza di tutelare il personale militare in caso di un debordante esercizio di tale supremazia speciale. 
Tra questi, oltre a quelli di immediatezza della contestazione, di tempestività dell'azione disciplinare e di difesa , che attengono più che altro al procedimento, ruolo preminente deve riconoscersi al principio di proporzionalità, la cui derivazione comunitaria ha indotto il Consiglio di Stato ad assumere a riferimento la giurisprudenza della Corte di giustizia europea al fine di delinearne la portata applicativa, onde evitare che per suo tramite il giudice sia tentato di introdurre surrettiziamente una smisurata, quanto innominata, ipotesi di giurisdizione di merito, che, viceversa, è ontologicamente tipica ed eccezionale, perché deroga al principio di separazione dei poteri cui è ispirato il nostro ordinamento. 
A tal proposito, la Cge ha da sempre rilevato che il riscontro di proporzionalità riguarda solo "il carattere manifestamente inidoneo di un provvedimento in relazione allo scopo che l'istituzione competente intende perseguire", dovendo escludersi che il sindacato giurisdizionale possa "spingersi ad un punto tale da sostituire l'apprezzamento dell'organo competente con quello del giudice, valutando l'opportunità del provvedimento adottato ovvero individuando direttamente le misure ritenute idonee".
Dunque, per questa via, analogamente, premessa la valenza costituzionale del principio de quo ai sensi dell'art. 97 della Carta fondamentale, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che, pur sussistendo il generale obbligo dei pubblici poteri (legislativo ed esecutivo) di adottare le soluzioni più idonee ed adeguate al perseguimento dell'interesse generale cui sono preposti, col limite del minor sacrificio possibile per le posizioni soggettive coinvolte, nondimeno al giudice, in sede di verifica della legittimità dell'operato, non è dato sindacare il merito delle scelte discrezionali, siano esse di natura tecnica, amministrativa o politica, non potendo sostituirsi al titolare del potere, bensì dovendo attenersi ad una valutazione ab externo del provvedimento assunto, coi limiti dell'abnormità ed irragionevolezza. 
Aberrazioni da escludersi quante volte la sanzione irrogata sia sorretta da adeguata motivazione e basata su fatti manifestamente gravi, tali da poter indurre ragionevolmente l'amministrazione a ritenerli lesivi del decoro del Corpo , ovvero oggettivamente contrari alle finalità cui è istituzionalmente preposto. 
Né impinge la validità delle suesposte conclusioni l'apprezzamento del disvalore della medesima condotta già operato dal giudice penale, stante il radicato principio della separazione tra i due procedimenti, che reca in sé il potere della PA di attribuire diversa rilevanza disciplinare ai fatti, diverso essendo il bene-interesse che i due apparati normativi mirano a tutelare. 
Difatti, anche dopo l'entrata in vigore della legge 27 marzo 2001, n. 97, che, innovando le disposizioni penali, sostanziali e processuali, ha ricondotto ad unità i due sistemi sanzionatori, sancendo l'efficacia nel procedimento disciplinare degli accertamenti in punto di fatto raggiunti in sede penale, la PA non ha del tutto perso il potere-dovere di valutare discrezionalmente la medesima condotta laddove, al contempo, violi le regole di comportamento proprie del suo ordinamento interno. 
Conclusioni 
In buona sostanza, dunque, il principio di proporzionalità e, per esso, della gradualità della sanzione, quale canone legale di raffronto tra lo scopo prefissato dalla norma comportamentale e la scelta sanzionatoria in concreto operata dalla pubblica amministrazione, è valso al giudice amministrativo per ritagliarsi un potere di sindacato piuttosto ampio sull'altrettanto penetrante supremazia speciale che l'ordinamento militare attribuisce al Corpo sui propri appartenenti. 
Precario, tuttavia, il punto di equilibrio, essendo il sindacato giurisdizionale destinato tanto più ad arretrare in favore della più piena discrezionalità dell'amministrazione, quanto più la condotta ascritta al dipendente integri un illecito di scopo, piuttosto che di offesa.
Fonte: Il Sole 24 Ore. 


GOVERNO: RISOLUZIONE UNILATERALE DEL RAPPORTO DI LAVORO 

Il Dipartimento della Funzione Pubblica, con la circolare n. 4 del 16 settembre 2009, comunica - alle Pubbliche Amministrazioni - le novità legislative relative alle mutate condizioni circa il recesso unilaterale previsto dalla Legge n. 102/2009. 
Le modifiche hanno riguardato fondamentalmente i seguenti aspetti: 
1. quanto ai soggetti interessati: l'ambito soggettivo dell'applicazione; 
2. il carattere eccezionale dell'intervento, limitato ad un triennio; 
3. il requisito richiesto per l'esercizio della facoltà; 
4. il momento in cui la facoltà può essere esercitata; 
5. la previsione esplicita secondo cui l'esercizio della facoltà di risoluzione avviene nell'ambito dei poteri datoriali. 
La norma è immediatamente applicabile nei confronti del personale dirigenziale e non dirigenziale delle Pubbliche Amministrazioni.
Fonte: dpl modena.


PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: NORME “ANTIFANNULLONI”: TANTO RUMORE PER NULLA?

La normativa "antifannulloni", varata l'anno scorso dal ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, sembra essere stata ridimensionata. È quello che pensano i sindacati del settore della funzione pubblica: secondo i segretari delle principali sigle confederate infatti, le disposizioni circa la reperibilità in malattia sarebbero state uniformate a quelle vigenti nel settore privato, mentre la certificazione medica sarebbe tornata nuovamente ad essere affidata al medico convenzionato. Inoltre sarebbero state abrogate alcune delle norme che prevedevano penalizzazioni economiche. 
I segretari dei sindacati della funzione pubblica (Cgil, Cisl, Uil Fpl) hanno ritenuto da sempre il ddl antifannulloni incostituzionale, per questo ora puntano il dito contro il ministro, accusato di essere tornato allo "status quo ante" con l'aggravante di aver fatto fin troppi tagli alle spese. «Noi abbiamo chiesto fin dal nostro congresso di maggio al ministro Brunetta di tornare indietro e di rendere omologate al privato tutte le regole del pubblico - dice Giovanni Faverin, segretario Cisl-Funzione Pubblica - Le norme ora abrogate erano frutto di un eccessivo accanimento con il controllo, stavano in una logica di pressione dell'opinione pubblica».
Il ministero della PA sostiene però che la "rivoluzione" non si è fermata e, in un comunicato stampa, nega il colpo di spugna sulle norme, confermando la veridicità delle modifiche solo per quanto riguarda le fasce di reperibilità. Intervento, dice il ministero, «deciso anche a seguito dei confortanti risultati del monitoraggio sulle assenze per malattia nella PA».
«Al contrario - prosegue il comunicato del ministero - non si è intervenuto in alcun modo sulle disposizioni vigenti in materia di trattenute economiche e di certificazioni mediche dei dipendenti pubblici, anche se - precisa la nota - queste ultime saranno presto gestite online dall'Inps e si renderà quindi necessario uniformare la loro disciplina con quelle del settore privato».
Il ministro nella nota ci tiene a sottolineare che i risultati del monitoraggio sulle assenze per malattia nella PA, che il dipartimento della Funzione pubblica effettua mensilmente in collaborazione con l’Istat, dall’entrata in vigore del decreto legge 112/2008 hanno evidenziato una riduzione media annua delle assenze superiore al 35 per cento. 
Fonte: PA.net

 

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