Attualità: Convivente «tutelato» sulla casa PDF Stampa E-mail
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Sì alla tutela possessoria al convivente "more uxorio" messo alla porta della casa familiare per la fine della relazione. A riconoscerla, per la prima volta, è stata la Cassazione con la sentenza 7214 del 21 marzo scorso. La Corte

ha esaminato la vicenda di un uomo che aveva venduto alla convivente la casa dove si era svolta sino a quel momento la vita della famiglia di fatto. Ma circa due mesi dopo la vendita, la neoproprietaria aveva escluso il compagno dal godimento dell'abitazione. Quest'ultimo, quindi, aveva agito in giudizio contro la ex convivente con l'azione di reintegra nel possesso. E la domanda dell'uomo era stata accolta sia in primo, sia in secondo grado.

La ex compagna ha quindi fatto ricorso in Cassazione contro la pronuncia della Corte d'appello. Tra l'altro, la donna ha affermato che la convivenza di fatto – dato che mancano gli elementi propri del matrimonio – non può far sorgere in capo al partner non proprietario del bene una situazione di compossesso. Piuttosto, si creerebbe, secondo la donna, una relazione di semplice ospitalità. È questo, in effetti, il nocciolo della questione giuridica: qualificare il rapporto del convivente con la casa familiare (se ospite o possessore) non è senza rilevo, dato che l'articolo 1168 del Codice civile non garantisce la tutela possessoria a chi ha una relazione con il bene «per ragioni di servizio o di ospitalità», mentre la concede al possessore e al detentore.

Con la sua decisione la Corte di cassazione (pur escludendo un completo pareggiamento tra unione libera e matrimonio) cambia indirizzo rispetto al precedente orientamento, che, peraltro, era già stato superato in diverse occasioni dai giudici di merito. In particolare, la Cassazione qualifica la posizione del convivente espulso dall'abitazione come vera e propria detenzione tutelabile, facendo così propria la tesi secondo cui questa unione non può essere relegata nella sfera dell'irrilevanza giuridica, e ciò stante «la dignità stessa del rapporto di convivenza di fatto».

Per la Cassazione, quindi, come il coniuge, anche il componente della famiglia di fatto può esercitare l'azione di spoglio nei confronti dell'altro partner, anche se il primo non ha un diritto di proprietà sulla casa che, durante la convivenza, è stato nella disponibilità di entrambi. E lo fa valorizzando i recenti interventi del legislatore a tutela della famiglia di fatto, come pure la giurisprudenza della Corte costituzionale, che riconosce protezione alla convivenza paraconiugale in base all'articolo 2 della Costituzione, che tutela l'individuo sia come singolo sia nelle «formazioni sociali ove si svolge la sua personalità».

La sentenza della Cassazione si fonda sul presupposto – del tutto condivisibile – che il convivente "more uxorio" non ha un rapporto con la casa precario e passeggero (come accade per l'ospite, ossia colui che si trovi nell'abitazione per concessione discrezionale del partner proprietario) ma basato su un interesse proprio. La decisione, peraltro, appare decisamente in linea con la mutata sensibilità sociale, favorevole a riconoscere – come si legge nella sentenza – «rilevanza giuridica» e «dignità» al rapporto di convivenza non matrimoniale «la quale – con il reciproco rispettivo riconoscimento di diritti del partner, che si viene progressivamente consolidando nel tempo, e con la concretezza di una condotta spontaneamente attuata – dà vita, anch'essa, a un autentico consorzio familiare, investito di funzioni promozionali».

Infine, la Corte indica al convivente proprietario la giusta strada da percorrere per riavere la piena disponibilità del l'abitazione quando finisce la relazione: avvisare il partner e concedergli un termine congruo per reperire un'altra sistemazione.

Fonte: Sole24Ore

 

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