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Pubblica Amministrazione: Def 2015, avanti con il Jobs Act. Testo finale per l’approvazione |
Pubblica Amministrazione |
E’ stato convocato il Consiglio dei ministri che deciderà in maniera definitiva sul Documento di programmazione economica che nei giorni scorsi ha fatto molto discutere per i rischi di aumenti delle tasse. Il presidente del Consiglio ha annunciato in conferenza stampa che il Def in via di approvazione non conterrà alcun incremento delle imposte, a dispetto delle previsioni economiche e degli indicatori che annunciano una pressione fiscale in crescita per i prossimi due anni. Naturalmente, l’obiettivo centrale di tutta l’operazione Def è quello di disinnescare la clausola di salvaguardia che porterebbe al duplice aumento dell’Iva, con aliquota principale al 25,5% entro il prossimo anno e la secondaria al 13%. Uno scenario davvero da incubo, che riverserebbe sulle spalle dei consumatori – ancora una volta – il peso della crisi e del mancato raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dai vari governi nell’ultimo triennio. L’ammontare delle misure contenute nel Documento di economia e finanza che approderà in Consiglio dei ministri dopo l’esame preliminare calcolato in 10 miliardi di interventi. Queste risorse proverranno in toto da misure collegate alla spending review, a seguito dell’avvicendamento tra l’ex commissario Carlo Cottarelli e il neo responsabile, fidato del premier Renzi, Yoram Gutgeld. A cosa mira il Def Obiettivo del documento di economia e finanza, come ha chiarito anche il ministro Padoan, è quello di portare a compimento un piano di “meno tasse e più lavoro”. Se sul primo punto l’ottimismo del premier non ha ancora fugato tutti i dubbi, dal momento che bisognerà attendere il testo approvato per conoscere il possibile impatto del Def 2015, in materia di occupazione la strategia appare chiara: portare a compimento il Jobs Act. Come noto, solo due decreti attuativi della riforma del lavoro sono stati varati dal governo, quelli su indennità di disoccupazione e contratto a tutele crescenti, entrati entrambi in vigore lo scorso 7 marzo. Ora, all’appello mancano le disposizioni sulla nuova maternità e, soprattutto, la cancellazione dei contratti co.co.pro. promessa a partire dal 2016. In proposito, il governo dovrebbe mettere a bilancio un gruzzolo per il completamento della riforma in ambito lavorativo. In proposito, le previsioni avanzate da palazzo Chigi sul Prodotto interno lordo, dato in crescita oltre l’1% nel 2016 e a seguire, i corrispondenza del calo del rapporto deficit-Pil e del debito pubblico rapportato alla ricchezza prodotta, a parere del governo costituiscono sufficienti margini per portare a termine il piano di interventi nell’economia. C’è, però, da vincere la resistenza dei sindaci, i quali mettevano in guardia l’esecutivo dal timore di tagli lineari agli enti locali, già duramente colpiti nei precedenti passaggi di manovra economica. La risposta per tutti sarà una sola: il testo definitivo, pronto all’approvazione in Consiglio dei ministri di questa mattina. Solo allora si scoprirà se il governo ha giocato a carte coperte oppure no. Fonte: leggioggi.it |
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