Pubblica Amministrazione: I costi impliciti annullano la firma dello swap PDF Stampa E-mail
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Un ente locale può annullare, con effetto retroattivo, la decisione di firmare uno swap che si è poi rilevato carico di «costi occulti». Il principio, che può avviare una serie di effetti a catena nei comuni e nelle province che hanno in pancia derivati sgraditi, è stato fissato per la prima volta dal Tar Toscana nella sentenza 66/2010, che ha dato ragione alla provincia di Pisa in battaglia contro Dexia Crediop e Depfa. Si tratta di una «sentenza breve», per cui un quadro più definito si avrà solo con il deposito delle motivazioni, ma gli effetti sono chiari: secondo i giudici amministrativi, non solo la provincia può annullare in autotutela il contratto, ma non è nemmeno obbligata a restituire gli eventuali differenziali attivi ricevuti durante il periodo di vita dei contratti.

La vicenda nasce nel 2007, quando la provincia di Pisa, dopo un'indagine di mercato per decidere come ristrutturare una parte del proprio debito, decide di affidarsi a Depfa e Dexia per emettere un bond da 95,5 milioni di euro, coperto da una coppia di swap gemelli firmati con i due istituti.

I primi mesi di vita dei due derivati (con collar formato da un floor al 4,64% e un cap al 5,99%) sono stati tranquilli, e hanno garantito alla provincia un differenziale positivo per 24mila euro. In seguito, complice l'abbassamento dei tassi, l'equilibrio è cambiato, i flussi positivi si sono prima arrestati e poi hanno cambiato di segno, e la provincia nel 2008 ha deciso di far ripassare al setaccio i contratti. Qui arriva la «sorpresa»: i due swap, secondo gli esperti incaricati dall'ente locale, sono nati con un «valore negativo» di 1,4 milioni, non espresso dai contratti, e non sarebbero quindi nati con «valore zero», cioè con una situazione di partenza in pareggio fra le parti contraenti. Proprio questi «costi impliciti» avrebbero infranto il principio della «convenienza economica» dei contratti, imposto dall'articolo 41 della Finanziaria 2002, per cui il comune li ha cancellati.

I due istituti hanno fatto ricorso al Tar per annullare la determina dirigenziale che cancellava i contratti, ma il Tar ha bocciato la richiesta andando oltre la stessa strategia della provincia: i giudici amministrativi hanno annullato le parti della determina in cui la provincia restituiva alle due banche i 24mila euro di flussi positivi ricevuti nei primi mesi degli swap.

Chi segue il processo ai derivati del comune di Milano riconoscerà in questa vicenda molti aspetti messi sotto esame a Palazzo di Giustizia. Anche gli swap di Palazzo Marino, secondo la procura, sarebbero dovuti nascere con «valore zero», ma sono stati gravati da costi impliciti (nel caso milanese i milioni contestati sono 101, su un nozionale da 1,685 miliardi). Le difese delle banche coinvolte (Depfa, Deutsche Bank, Ubs e Jp Morgan), contestano invece la tesi del «valore zero», sostenendo che i costi in più servono a remunerare il rischio e il lavoro delle banche e non vanno indicati separatamente ed esplicitamente nei contratti.

Una volta depositate, le motivazioni offriranno nuovi elementi alla diatriba. La partita pisana, però, è ancora più complessa perché si gioca anche in campo internazionale. Depfa e Dexia si contrappongono alla provincia anche alla Commercial Court di Londra, che qualche mese fa aveva stabilito la propria competenza in materia, sulla base del fatto che i contratti redatti su modelli Isda necessiterebbe della giurisdizione inglese. Un intreccio di controversie che è ancora lontano da una soluzione definitiva.

Fonte: il Sole 24 Ore

 

News del 16 Novembre 2010

 

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