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Pubblica amministrazione: L'estrazione a sorte non risolve il nodo dei revisori |
Pubblica Amministrazione |
L'incarico di revisore dei conti di un Comune sarà come il numero vincente della lotteria: uscirà per estrazione. La novità arriva con la manovra di Ferragosto (articolo 16, comma 11 del Dl 138/2011), che mette mano ai criteri di nomina dei revisori. Dal primo rinnovo successivo al 13 agosto scorso, i Comuni debbono scegliere i membri del collegio per estrazione da un elenco, nel quale possono chiedere di essere inseriti i professionisti iscritti a livello provinciale nel Registro dei revisori legali, purché siano in possesso – precisa il decreto legge – di specifica preparazione professionale in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti territoriali. Sono tagliati fuori, rispetto alla disciplina attuale, gli iscritti all'albo unico dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. La manovra rivede i criteri di scelta dei revisori (senza però intervenire sull'articolo 234 del Dlgs 267/2000), più volte soggetti a critica per mancanza di autonomia dagli organi politici e della necessaria professionalità (il tema è emerso anche il mese scorso durante l'approvazione del decreto premi e sanzioni sul federalismo fiscale). Ma la strada scelta non risolve certo i problemi. Anzitutto, distinguere la professionalità non vuol certo dire affidarsi al criterio dell'estrazione a sorte. I revisori dovrebbero essere scelti, invece, da un soggetto terzo. In fase di istituzione del registro dei revisori contabili (confluito successivamente in quello dei revisori legali) sono entrati anche coloro che al tempo avevano svolto un incarico da revisore, quindi la platea è eterogenea ed ampia (i revisori sono oltre 148 mila, più degli iscritti all'albo unico dei professionisti contabili). Il problema, perciò, si sposta sui requisiti per l'accesso all'elenco. A livello universitario i rari corsi dedicati alla contabilità pubblica sono tra i meno seguiti dagli studenti. D'altra parte, se la scelta si basasse sull'esperienza maturata da incarichi di revisore già svolti, si taglierebbero fuori tutti i giovani e si premierebbero coloro che hanno beneficiato di nomine di organi politici. Alla luce dell'importanza crescente attribuita alla formazione continua, che nella riforma delle professioni diventa obbligatoria ed è elemento di valutazione disciplinare (articolo 3, comma 5, del Dl 138/2011), sarebbe coerente richiedere un certo numero annuo di crediti formativi sulle materie di contabilità pubblica, prevedendo criteri più rigidi per i Comuni più grandi. Non si comprende come mai, poi, in una manovra fondata sul principio della liberalizzazione, spunti la restrizione allo svolgimento dell'incarico da revisore su base provinciale. Si dovrebbe invece eliminare ogni limitazione territoriale (o almeno si dovrebbe optare per l'elenco regionale). Il rinvio ad un decreto del ministro dell'Interno per la fissazione delle modalità di attuazione, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della manovra (cioè entro l'11 novembre), per ora rimanda l'avvio del nuovo regime. L'auspicio è che nella conversione del decreto si ponga rimedio alle lacune di una norma (nella quale il riferimento, per abbracciare i Comuni con revisore unico, dovrebbe essere all'organo di revisione) di difficile attuazione e che appare scritta in fretta. Ciò mentre sono rimasti al palo sia la riforma della Carta delle Autonomie sia il disegno di legge anticorruzione, con cui era stata data l'"illusione" della revisione della disciplina dei controlli negli enti locali. Fonte: Sole24Ore |
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