Pubblica Amministrazione: Più coerenza per le norme sulle pensioni PDF Stampa E-mail
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Le misure ipotizzate dal Governo in materia pensionistica si scontrano nel caso del settore pubblico con altre disposizioni di contenimento della spesa e, in particolare, con l'indirizzo generale volto a ridurre il numero dei dipendenti pubblici per facilitare il processo di riduzione degli apparati e ridurre le eccedenze di personale.

Una delle contraddizioni più vistose riguarda proprio la compresenza di norme sulla riduzione della spesa sul personale e di norme in materia di previdenza, volte a posticipare la spesa pensionistica. Un'analisi della normativa più recente può aiutare a evidenziare le incongruenze e le incertezze generatesi nel settore pubblico tra norme di risparmio e disposizioni in materia di pensioni.

 

Si rammenta innanzitutto che il Dl 138/2011 ha prorogato per il triennio 2012-2014 l'articolo 72, comma 11, del Dl 112/2008, che prevede la possibilità di risolvere il contratto di lavoro per i dipendenti delle Pa con 40 anni di contributi, indipendentemente dall'età. Questa disposizione si aggiunge alle norme già presenti, e recentemente rafforzate, che rendono oneroso il trattenimento in servizio dei dipendenti oltre i 65 anni di età.

L'articolo 15 del Dl 98/2011, inoltre, ha previsto, in caso di ente dissestato, la possibilità di risolvere il rapporto prima dei 40 anni di contributi. Sempre nell'ottica della riduzione del personale delle Pa, all'articolo 72, comma 1, del Dl 112/2008 è prevista altresì la possibilità di interrompere il rapporto di lavoro con 35 anni di contributi per i dipendenti delle amministrazioni centrali, con il 50% della retribuzione per il periodo mancante alla pensione, ma con diritti previdenziali pieni.

Le norme sulle pensioni per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni vanno quindi inserite nel contesto organizzativo e legislativo specifico delle Pa, che vede un rafforzamento del blocco delle assunzioni, un tetto della spesa per il personale per Regioni ed enti locali molto stringente, comprensivo del personale delle partecipate, la riduzione degli organici del 10 per cento.
Dall'altro lato il Governo attivava la finestra mobile di un anno anche per i dipendenti delle Pa. Oggi tale finestra, in base all'articolo 18, comma 22-ter, del Dl 98/2011, viene prorogata di un mese in più ogni anno fino a tre mesi dal 1º gennaio 2014 per coloro che maturano i requisiti per il diritto al pensionamento indipendentemente dal l'età anagrafica, rendendo di fatto inutile l'applicazione del citato articolo 72. Si pensi, inoltre alle recenti disposizioni sulla gestione in forma associata delle funzioni fondamentali dei Comuni, che, nell'accelerare il processo di gestione associata di funzioni fondamentali per i Comuni fino a mille abitanti, genereranno una consistente eccedenza di personale (si veda l'articolo 14, comma 31 del Dl 78/2010). Così come l'annunciata soppressione delle Province e delle società partecipate, nonché l'avvio della spending review. Ricordiamo per esempio tutte le recenti disposizioni che incentivano con fondi o misure premiali gli enti a dismettere le proprie partecipazioni (articoli 1 e 5 del Dl 138/2011), che, soprattutto nel Centro-Sud, obbligheranno a collocare in eccedenza e mobilità il personale e a individuare i percorsi per accelerarne la fuoriuscita.

Pertanto, appare necessario definire le norme sulle pensioni per il personale delle Pa (e delle società partecipate) in maniera coerente, al fine di assicurare un profondo ridisegno del settore pubblico. Di fronte a oltre 300mila esuberi, occorrono certezza degli strumenti e puntualità nei piani. Ma ancora una volta sembra mancare una visione organica del settore, che consenta di intervenire adeguatamente per la riforma e la ristrutturazione delle Pa.

 

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