Fiat: dopo la stretta sui diritti la grande fuga verso gli USA. Come e perché. Vi sveliamo alcune ipotesi che non trovate sugli altri mezzi di comunicazione. PDF Stampa E-mail
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Dopo la contestata vittoria al referendum sulla riduzione dei diritti dei lavoratori della Fiat di Mirafiori, la Fiat di Marchionne ha comunque avviato l’operazione di sganciamento dell’azienda dall’Italia.

Le ragioni, come era già in parte prevedibile, sono diverse: intanto vi è l’orizzonte “americano” dell’amministratore delegato di Fiat (da li viene come carriera) che percepisce il continente americano del Nord e del Sud come un’area del pianeta ancora vitale economicamente e capace di ripresa dove è quindi necessario spostare la capacità produttiva e direzionale dell’azienda per confrontarsi con i nuovi colossi di Cina, India e paesi Asiatici come Corea, ecc. In tale visione ed analisi l’Europa è vista come un continente in irrimediabile declino. Su un articolo pubblicato sul quotidiano Repubblica del 9.2.2011 lo scrittore Pietro Citati a proposito della situazione dei sistemi educativi in Europa (Inghilterra ed Italia in prima fila) parla di un continente in cammino verso il nulla e il vuoto.

In tale contesto certamente la situazione dell’Italia appare tra le più compromesse con un sistema scolastico ed universitario al dissesto, la Pubblica Amministrazione in rapida e rovinosa ritirata da ogni ambito dei servizi civili e dal Welfare più in generale, gli investimenti pubblici nelle infrastrutture bloccati ormai da decenni (vedere al riguardo la tristissima vicenda del piano della Banda Larga),  un sistema industriale che ormai arranca con sempre maggiore difficoltà e il sistema della distribuzione commerciale dagli elettrodomestici, ai mobili all’alimentare sempre più in mano a grandi multinazionali straniere che schiacciano il piccolo commercio e la produzione locale.

Ma l’altra grande ragione della fuga verso gli Usa della Fiat sta nel fatto che in Italia per tutta una serie di ragioni è stata ormai abbandonata la strada dei sostegni pubblici al settore automobilistico ovvero la Fiat, mentre negli Stati Uniti Obama per salvare il settore sta concedendo formidabili sostegni all’industria automobilistica tra cui c’è la Crysler acquistata appunto da Fiat.

In una nuova visione industriale gli impianti automobilistici italiani della ex madre Patria della Fiat vengono visti alla pari di quelli già esistenti in paesi considerati marginali come la Polonia, la Romania, ecc. dove il costo del lavoro deve necessariamente essere basso per continuare a ritenere economico il costo della produzione, pena la loro chiusura (già infatti minacciata).

In tutto ciò la Confindustria non commenta e la politica appare invece più affaccendata nella nuova e più accattivante attività dei “bunga bunga”, suggeritaci dal noto buontempone libico.

News del 10 Febbraio 2011

 

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